Retroattivita' e postuma
La comparazione di più preventivi di assicurazione per Avvocati e la stipula di una buona polizza di responsabilità civile professionale, con garanzie chiare ed ampie, costituisce una difesa della quale non si può fare a meno. Non tutte le assicurazioni professionali per Avvocati presenti sul mercato assicurativo italiano presentano tuttavia condizioni di contratto idonee a garantire una copertura completa.
Segue la trattazione di coperture assicurative la cui inclusione o meno nella polizza di responsabilità civile professionale fa senz’altro la differenza.
Le Assicurazioni di Responsabilità Civile Professionale Avvocato sono caratterizzate da una clausola che prende il nome di “claims made” la quale, permette di coprire le richieste di risarcimento pervenute per la prima volta dopo la stipula della polizza RC Professionale originate da errori professionali non noti all’avvocato fino a quel momento. In tale contesto si inserisce la cd. Garanzia PREGRESSA o RETROATTIVA’.
Caso 1 – Polizza RC Avvocato SENZA Retroattività o Pregressa
Se una polizza per Avvocati è stipulata senza retroattività o pregressa, per rendere operante la copertura assicurativa, sia il FATTO professionale generatore del danno che la successiva RICHIESTA DI RISARCIMENTO dovranno verificarsi DOPO la stipula dell’Assicurazione professionale RC Avvocato.
Caso 2 – Polizza RC Avvocato CON Retroattività o Pregressa
Se una polizza per Avvocati è stipulata CON retroattività o pregressa, per rendere operante la copertura assicurativa, il FATTO professionale generatore del danno potrà verificarsi anche prima della stipula della polizza professionale Avvocato, sempre che la RICHIESTA DI RISARCIMENTO giungerà per la prima volta dopo la stipula dell’Assicurazione professionale e all’Avvocato nulla era noto prima della stipula della polizza stessa.
Fatta questa doverosa premessa se acquisto una polizza RC Professionale con 5 anni di pregressa significa che mi copre per gli errori professionali posti in essere fino ai 5 anni precedenti la stipula della Assicurazione RC Avvocato che abbiano generato per la prima volta una richiesta di risarcimento dopo la stipula stessa.
È evidente che per un Avvocato che abbia appena iniziato l’attività professionale, nella fase di stipula di un’assicurazione a tutela dei rischi professionali non avrà importanza l’acquisto anche di una garanzia pregressa in quanto non è stata esercitata l’attività di professionale negli anni precedenti.
Altro aspetto fondamentale delle polizze per Avvocati in regime “claims made” è sapere cosa accade dopo la scadenza dell’assicurazione professionale. Le richieste di risarcimento generate da fatti professionali posti in essere anche in un passato abbastanza remoto sono comunque coperte dalla polizza RC Avvocato sempre che giungano per la prima volta PRIMA della scadenza della Polizza Professionale stipulata dall’Avvocato. Quindi se scade la polizza professionale e l’Avvocato non la rinnova, una eventuale richiesta di risarcimento giunta dopo la scadenza non verrà più coperta dalla Compagnia. Tale mancanza di copertura assicurativa accade anche se il fatto che ha originato la richiesta è posto in essere durante la vigenza della Polizza RC Avvocato che non è stata più rinnovata.
Quindi, in teoria, poiché tutte le polizze per Avvocati in regime “claims made” dopo la scadenza non conferiscono più copertura l’Avvocato dovrebbe tenere in vita la sua polizza professionale anche quando non eserciterà più l’attività professionale al fine di consentire l’accoglimento di richieste di risarcimento pervenute anche dopo anni dal fatto professionale che le ha originate e dalla cessazione dell’attività.
E’ opportuno quindi introdurre la cd. Postuma o ultrattività della copertura, altra clausola tipica dell’ assicurazione professionale. Per ovviare proprio al problema appena descritto se in futuro prevedo dei cambiamenti o la cessazione dell’attività professionale (cambio attività da più rischiosa a meno rischiosa, pensionamento, ecc.) acquisto la cd. Copertura Postuma.
L’ ultrattività o postuma conferisce una garanzia operante per le condotte colpose poste in essere DURANTE il periodo di validità della polizza RC Avvocato che hanno generato una richiesta di risarcimento ricevuta per la prima volta DOPO la cessazione dell’Assicurazione. E’ evidente che se prevedo di andare in pensione a breve mi occorre acquistare un garanzia postuma (preferibilmente illimitata) che consente di accogliere le eventuali richieste di risarcimento pervenute dopo la cessazione definitiva dell’attività professionale e della scadenza della polizza professionale.
Altro esempio riguarda l’ipotesi che la Compagnia attuale a scadenza contratto decida di non rinnovare piùl’Assicurazione professionale RC Avvocato e nel contempo le nuove Compagnie propongono polizze per Avvocato con retroattività limitata.
Cosa accade, quindi, per le Assicurazioni Professionali stipulate con Compagnie diverse nel corso degli anni senza soluzione di continuità? Premesso quanto sopra, nel caso di rinnovo di polizza RC Avvocato con unaCompagnia diversa è necessario alternativamente:
1. acquistare la nuova assicurazione professionale per RC Avvocato munita di una retroattività almeno pari agli anni di precedente attività professionale (ricordando che la precedente polizza una volta scaduta non concederà più la copertura);
2. Aver già acquistato la precedente polizza RC Avvocato con garanzia postuma così da non rendere necessaria per il Professionista la retroattività per la nuova polizza professionale per i fatti professionali posti in essere durante la vigenza della polizza scaduta.
Per cui le polizze in regime di “claims made” comportano vantaggi all’assicurato perché vincolano l’efficacia della copertura ad un dato obiettivo della richiesta di risarcimento svincolando l’efficacia della copertura dall’accertamento di circostanze non sempre facilmente riscontrabili (quali ad esempio il momento dell’accadimento del fatto o il momento del manifestarsi del danno).
La clausola “claims made” tuttavia presenta degli svantaggi qualora non sia associata a forme di garanzie supplementari quali la “retroattività” e la “postuma”.
REGOLAZIONE PREMIO
La clausola di regolazione del premio nel contratto di assicurazione contro i danni e la sua interpretazione nell’ evoluzione della giurisprudenza di legittimita’ in ragione del principio di buona fede
Per clausola di regolazione del premio si intende nella prassi commerciale quella che prevede accanto ad un premio minimo fisso da versare in via provvisoria e anticipata una maggiorazione del premio definitivo per il periodo assicurato da calcolare sulla base di elementi idonei all’ulteriore valutazione del rischio che l’assicurato si impegna a comunicare all’assicuratore entro un determinato periodo di tempo.
La polizza dunque nasce con un premio provvisorio perché non appare determinabile con precisione ed a priori il valore positivo o negativo dell’elemento variabile incidente sulla indicazione precisa del premio.
Solitamente nella responsabilità civile verso terzi l’elemento variabile è dato dalle retribuzioni o dal fatturato, esempio significativo di questo modo di procedere si riscontra nelle polizze per rischioprofessionale di notai,avvocati, commercialisti, ecc.
La ratio della clausola, ovvero il principio che ne rappresenta l’idea, è quella di realizzare un congegno che permetta di regolare il premio in relazione all’effettivo rischio dell’assicuratore al fine dipreservare il principio di corrispettività delle prestazioni alle quali sono chiamati l’assicurato e l’assicuratore.
Per questo motivo l’assicuratore dovrà essere puntualmente informato su quanto aleatorio sia l’evento assicurato 1, ovvero dovrà essere informato sullo stato del rischio assunto e in buona sostanza dunque sull’oggetto della sua prestazione quale corrispettivo del premio versato dall’assicurato.
A tal proposito si registrano arresti giurisprudenziali ispirati a due diversi orientamenti concernenti l’elemento essenziale del contratto di assicurazione,ovvero la garanzia assicurativa.
Il primo, di cui si segnala per tutte Cass. civ. 18 maggio 1971, n.1462, ritiene che la lettera dell’art. 1882 c.c. sancisca l’obbligo dell’assicuratore di pagamento dell’indennizzo condizionandolo alla corresponsione del premio da parte dell’assicurato in quanto elemento essenziale per la prestazione della garanzia, ma non per l’efficacia del contratto 2.
Per tale orientamento, dunque , solo in casi eccezionali, per esempio assicurazione fideiussoria, assicurazione di rendita immediata, il pagamento del premio viene considerato condizione di efficacia del contratto.
L’altro e diverso orientamento, invece, afferma che la corrispettività sussiste tra il pagamento del premio e l’obbligo di garantire la copertura del rischio.
La disputa, non certo teorica, ovviamente porta a conclusioni diametralmente opposte di non poco momento.
Chi, infatti, ritiene che l’obbligazione dell’assicuratore sia condizionale, non ammette che l’assicurato possa chiedere la risoluzione del contratto ex art.1453 cod.civ., prima del sinistro, poiché prima non sarebbe configurabile un inadempimento 3.
Chi invece ritiene al contrario, che la prestazione dell’assicuratore consista nella sopportazione del rischio, ammette il ricorso alla risoluzione, anche prima del sinistro, ad esempio, quando l’assicuratore tenga una condotta di gestione tale da non consentire l’adempimento in caso di sinistro 4.
La comunicazione, peraltro, dovrà puntualmente intervenire, non solo alla genesi del rapporto contrattuale, pena l’annullabilità del contratto (art. 1892 c.c. in caso di dichiarazioni inesatte o reticenze frutto di dolo o colpa grave) ovvero la possibilità per l’assicuratore di recedere dal negozio (art. 1893 c.c. in caso di dichiarazioni inesatte o reticenze senza dolo o colpa grave) nel corso del vincolo negoziale.
Laddove, pertanto, il rischio sia soggetto a fluttuazioni in termini di probabilità (aumenti, diminuisca, cessi del tutto) l’assicurato, come del resto previsto dagli art. 1896, 1897 e 1898 c.c., è tenuto a darne immediata notizia all’assicuratore, in quanto condizione di godimento del diritto ad essere indennizzato.
La ragione di una così puntuale disciplina dell’oggetto dell’onere-obbligo di comunicazione- cui è tenuto l’assicurato, alla genesi del rapporto e in sua costanza, va ravvisata nella struttura tecnico-economica del contratto di assicurazione, prima ancora che nella sua struttura giuridica, imperniata, come già riferito, sulla costante corrispondenza tra premio e rischio a motivo del quale il rischio deve essere analiticamente descritto dal contraente, anche e soprattutto in quelle mutevoli vicende che erodono l’equilibrio del rapporto.
Un equilibrio che, nel caso di polizze con clausola di regolazione del premio, è prevedibile che venga alterato, in quanto il rischio assicurato è, in tale ipotesi più che in altre, quanto mai fluttuante ed allora cosa accade se l’assicurato nulla comunica e di conseguenza non corrisponde il conguaglio eventualmente dovuto ?
Sul punto la giurisprudenza, per oltre trent’anni, prendendo le mosse dalla qualificazione dell’obbligo di comunicazione dei dati, in termini di obbligazione complementare o accessoria rispetto a quella di pagamento del premio individuò nell’art. 1901 c.c. la disposizione cui porre esclusivo riguardo per la disciplina della mancata regolazione, in quanto ritenuta equivalente al mancato pagamento.
In questi termini si espresse la Corte di Cassazione a partire dalla sentenza n. 2495 del 24 novembre 1970(riportata per esteso in Foro it., 1971, I, 1977) nella quale, evidenziata la persistente natura unitaria e infrazionabile del premio, anche nei casi di una sua regolazione, si osserva che «poiché il pagamento del premio rappresenta un obbligo in senso stretto, anche il dovere di trasmettere all’assicuratrice i dati necessari rappresenta un ben preciso obbligo, perché senza tale trasmissione non può l’assicuratrice addivenire alla definitiva determinazione del premio, costituente il suo credito».La Corte poi continua osservando che «il contraente è obbligato a tenere fede a tale impegno anche se al termine del periodo assicurativo non siano intervenute variazioni nelle mercedi ed anche se nella clausola non via siano precisazioni al riguardo, perché la regolazione del premio, per sua stessa natura, è in ogni caso subordinata a tale notificazione». «Consegue che», termina la Corte, «il detto regolamento essendo un accessorio del premio, attiene intimamente all’adempimento del relativo obbligo, di cui ha le caratteristiche e segue le sorti, ond’è che la clausola che lo prevede non solo non è in contrasto, ma in piena armonia con i principi sanciti dall’art. 1901 c.c.».
La Suprema Corte pervenne per vero ad analogo approdo sospensivo, seppure con altre sfumature terminologiche quanto alla qualificazione del dovere di comunicazione, anche in altre decisioninelle quali, una volta ribadita l’unicità e infrazionabilità del premio, si osservava come la trasmissione dei dati rilevanti per il suo computo rappresentasse un elemento necessario per la determinazione del premio stesso ovvero un obbligo in senso stretto alla stregua dell’obbligo di pagamento del premio, non potendo l’assicuratore, in assenza di detta trasmissione, addivenire alla definitiva determinazione del premio, costituente il suo credito.
Con la sentenza n.3370 del 18 febbraio 2005 venne però inaugurato un nuovo filone interpretativo, finalizzato a scalfire l’incondizionata legittimità ed efficacia della clausola di regolazione del premio e del diritto di sospensione, ivi contemplato, a favore dell’assicuratore.
Prendendo le mosse da un serrato confronto letterale, logico e giuridico tra la disciplina contrattuale e quella legale, si giunse perciò a constatare non la semplice difficoltà ma l’impossibilità di ricondurre la clausola di regolazione del premio al testo dell’art. 1901 c.c. presentandola come puntuale pedissequa applicazione del dettato legislativo, come d’altronde ritenuto per oltre trent’anni.
Si osservò, in effetti,come le due previsioni (codicistica e pattizia) «siano diverse e non riconducibili ad unità, posto che l’art. 1901 c.c. eloquente fin dalla rubrica (mancato pagamento del premio) dispone, con assoluta chiarezza, la sospensione dell’assicurazione solo se il contraente non paga il premio o la prima rata del premio stabilita nel contratto oppure se alle scadenze convenute non paga i premi successivi».
Viceversa, avuto riguardo alla clausola di regolazione, un premio, nella parte fissa e invariabile, viene sin da subito pagato (anzi anticipato) e tale circostanza ostacola l’applicazione dell’art. 1901 c.c. ed anzi quel premio iniziale potrebbe, per usare le parole della Corte, da «provvisorio, assumere carattere definitivo allorquando in seguito alle debite comunicazioni, non sia da operare alcun conguaglio, per essere rimasti invariati gli elementi in base ai quali venne conteggiato il premio indicato in polizza».
Alla luce di un tale orientamento, quindi, l’inadempimento che rende legittima la sospensione della garanzia è solamente quello legato al mancato pagamento del premio o della sua prima rata, ovvero all’unica prestazione che possa ritenersi certa ed attuale 6.
In assenza perciò di una obbligazione certa relativa al pagamento della parte variabile sembrerebbe non potersi affermare che la mancata comunicazione degli elementi che permettono la regolazione, sia idonea ad integrare un’ipotesi di inadempimento che siconcreta nella mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta , presupponendo, da un lato, l’esistenza di un’obbligazione certa, e dall’altro lato, l’attualità del tempo della prestazione .
Certezza ed attualità che, come già visto, non è dato rinvenire nei doveri contenuti nella clausola di regolazione del premio.
Evidente, dunque, per usare le parole della Corte che «il tentativo, pur suggestivo, di costruire l’obbligo di comunicazione dei dati variabili come complementare e accessorio a quello di pagamento del premio integri un’inaccettabile forzatura logica e giuridica» che comporta inevitabilmente la necessità di reperire al di fuori del modello dell’art. 1901 c.c. la disciplina delle conseguenze del mancato adempimento della comunicazione «integrando la condotta omissiva dell’assicurato la violazione di un diverso obbligo pattizio, estraneo alla norma appuntata».
In seno alla pronuncia n. 3370/05, la Suprema Corte però non offrì elementi che consentissero di individuare la disciplina dell’obbligo di comunicazione nell’ipotesi di una sua violazione, fermandosi, a monte, ad affermare che nel caso portato alla propria attenzione, la clausola di regolazione doveva ritenersi inefficace, in quanto non riproducente lo schema dell’art. 1901 c.c. e non rappresentandone una puntuale applicazione, creando per ciò stesso un «vulnus all’equilibrio delle prestazioni che si connota di onerosità per la parte aderente e rientra così a pieno titolo nella categoria delle clausole» che vanno specificatamente approvate per iscritto ex art. 1342, II comma e 1341, II comma c.c..
L’esatta qualificazione dell’obbligo di comunicazione e delle conseguenze del suo inadempimento, dopo questa sentenza fu, peraltro, solo rimandato costituendo gli stessi spunti innovativi offerti dalla sentenza n. 3370/2005 la ragione dell’intervento delle Sezioni Unite.
Sul punto, infatti,ripercorse le tappe fondamentali dell’evoluzione giurisprudenziale e dottrinale sul delicato e complesso tema, le Sezioni Unite sono intervenute completando l’inversione di tendenza e decretando quindi una vera e propria espulsione dell’art. 1901 c.c. quale esclusiva norma cui porre mente in caso di omessa comunicazione dei dati variabili.
La composizione del contrasto deciso con la sentenza n. 4631 del 28 febbraio 2007 dalle Sezioni Unite prende quindi le mosse da una considerazione di fondo, ancorata al fatto che la clausola di regolazione secondo l’art. 1901 c.c. non terrebbe conto «dell’indiscutibile vantaggio che entrambe le parti del contratto ricavano dalla clausola di regolazione del premio»; affinché sia strumento di tutela per assicurato e assicuratore, la clausola dev’essere interpretata in modo autonomo rispetto alle due obbligazioni principali afferenti, l’una, al pagamento del premio, l’altra, alla sopportazione del rischio.
Riprendendo pedissequamente quanto già indicato nella decisione n. 3370/2005, le Sezioni Unite affermano, perciò, che l’omessa comunicazione dei dati integra la violazione di un diverso obbligo pattizio estraneo al modello del 1901 c.c., il cui inadempimento non può automaticamente giustificare il rifiuto dell’assicuratore di corrispondere l’indennizzo.
Nel caso, infatti, di posizione creditoria per l’assicurato, legata al fatto che il rischio non si è aggravato ma è diminuito rispetto all’ipotesi preventiva, la mancata comunicazione non può certo comportare l’inadempimento all’obbligo di pagare il premio assicurativo, nel senso ipotizzato dall’art. 1901 c.c., in quanto quello preventivato è già di per sé più che sufficiente a coprire il rischio assicurato.
Nell’ipotesi, invece, di posizione debitoria dell’assicurato, legata alla sopravvenienza di elementi variabili che hanno aggravato il rischio, facendo applicazione dei principi generali che presiedono alla valutazione della condotta del debitore in executivis, l’assicuratore in tanto potrà rifiutare l’indennizzo, solo in quanto l’inadempimento dell’assicurato risulti di non scarsa importanza come espressamente previsto dall’art. 1456 c.c. 7 alla stregua del principio di buona fede 8.
Le Sezioni Unite, pertanto ben può dirsi, hanno riportato alle origini il contratto di assicurazione, riscoprendo il ruolo imprescindibile rivestito dalla buona fede, quale autonoma fonte di doveri per entrambe le parti contrattuali, a prescindere da ogni diversa previsione legale o convenzionale.
Solo la buona fede, intesa come leale ed onesto comportamento che le parti debbono tenere nell’esecuzione del contratto, consentirebbe, infatti, una valutazione equilibrata della “funzionalità ed efficienza” del sinallagma, frutto del contemperamento dell’interesse di entrambe le parti all’esatto adempimento.
Nell’attesa di conoscere, dunque, come i giudici del rinvio intenderanno conformarsi alle linee di principio indicate dalle Sezioni Unite, la sentenza delle Sezioni Unite offre, comunque, lo spunto per un’analisi del ruolo che la buona fede potrà ricoprire nell’ambito di un contratto di assicurazione con regolazione del premio.
Fu dal 1986 che, nell’ambito dei contratti di diritto privato, si affermò con chiarezza l’orientamento per cui la condotta, costituisse uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni e formasse oggetto di un vero e proprio dovere giuridico, violato non solo nel caso in cui una delle parti avesse agito con il proposito doloso di recare pregiudizio all’altra, ma anche se il comportamento da essa tenuto non fosse stato, comunque, improntato alla diligente correttezza ed al senso di solidarietà sociale, integranti il contenuto della buona fede.
Buona fede, intesa, quindi, in senso etico come requisito della condotta, ovvero come salvaguardia dell’utilità che l’altra parte del contratto persegue senza un apprezzabile sacrificio della propria utilità nel rispetto del principio di solidarietà che pervade ogni clausola del contratto sia di origine pattizia sia derivante da norma imperativa.
In questi termini, Cass. 19 febbraio 1986, n. 960 e Cass. 10 aprile 1986, n. 2500.
L’espansione applicativa del principio, peraltro, è in parte dovuta alla notorietà della sentenza del caso Fiuggi (Cass. 20 aprile 1994, n. 3775), ove si legge che «il dovere di correttezza (1175 c.c.) si porge nel sistema come limite interno di ogni situazione giuridica soggettiva, attiva o passiva, contrattualmente attribuita e va inteso come dovere inderogabile di solidarietà che, applicato ai contratti, ne determina integrativamente il contenuto agli effetti (art. 1374 c.c.) e ne orienta l’interpretazione (art. 1366) e l’esecuzione (art. 1375 c.c.) nel rispetto del noto principio secondo cui ciascuno dei contraenti è tenuto a salvaguardare l’interesse dell’altro se ciò non comporti un apprezzabile sacrificio dell’interesse proprio ».
Passando, pertanto, all’analisi dei comportamenti dell’assicurato, in concreto, potrebbero ritenersi contrari a buona fede, al di là delle ipotesi già tipizzate dal legislatore negli artt. 1892, 1893, 1898, 1914 e 1915 c.c., la violazione del dovere di leale e onesta cooperazione tutte le volte in cui si riscontri una condotta attiva od omissiva dell’assicurato che generi un’alterazione del sinallagma, compromettendo la corrispettività tra premio e rischio.
Per quanto attiene, poi e più specificatamente, all’obbligo informativo connesso alla clausola di regolazione del premio, pare potersi ritenere contraria a buona fede l’omessa comunicazione di una variazione degli elementi mutevoli da cui derivi la necessità di corrispondere una non trascurabile quota variabile del premio.
In tale ipotesi, infatti, si potrebbe sostenere che l’assicuratore possa legittimamente (ovvero secondo buona fede) rifiutare di dare esecuzione al contratto, in quanto il comportamento dell’assicurato, per la sua non scarsa importanza, ha alterato il sinallagma contrattuale.
Di converso,invece, qualora l’eccezione di inadempimento dovesse presentare carattere di mero pretesto perché, pur a fronte dell’omessa comunicazione, risulta tuttavia accertato che la variazione v’è stata, ma non in termini significativi, l’assicuratore, pur non potendo opporre l’exceptio in quanto la stessa sarebbe contraria alla buona fede, potrebbe però vedere accertata la variazione degli elementi variabili, e così pretendere una diminuzione proporzionale della somma da corrispondere a titolo di indennità ai sensi dell’art. 1907 c.c. .
In entrambe le ipotesi , ad ogni modo, ciò che rileva è la valutazione del dato non comunicato rispetto al rischio.
Le Sezioni Unite hanno, infatti, decretato si l’espulsione dell’art. 1901 c.c. dalla disciplina della clausola di regolazione del premio, impedendo così all’assicuratore di rifugiarsi nell’automatismo della norma per omessa comunicazione ma ciò non significa che l’assicurato è libero di decidere, se e quando, comunicare quei dati che possano incidere sulla valutazione del rischio che pervade ogni aspetto dell’operazione e pregna le prestazioni di entrambe le parti solo attraverso una costante informazione riconducendo il contratto stesso di assicurazione nell’alveo dei contratti uberrimae bonae fidei 9.
Note:
- Alpa, le assicurazioni private, I, Torino, 2006,1046;
- Ruperto e Sgroi, Nuova rassegna di giurisprudenza sul codice civile, Milano, 1994, 3910;
- Scalone, La risoluzione del contratto: inadempimento dell’assicuratore, in Assicurazioni, 1955, II, 2, 18; in giurisprudenza, App. Cagliari 28 settembre 1962, in Riv. giur. sarda, 1963, 310;
- Scalfi, voce Assicurazione (Contratto di), in Digesto, Sez. comm., I, Torino, 1987, 343;
- Cfr. Cass. 24 marzo 1987, n. 2256; Cass. n. 13344 del 19 luglio 2004;
- Attualità e certezza della prestazione sono i due principali requisiti dell’inadempimento. Come indicato da Bianca, Diritto Civile, vol. V, La responsabilità, Milano, 1994, 4 e 5, attualità significa che «il debitore è tenuto ad adempiere senza dilazione di tempo ovvero già attualmente è tenuto ad eseguire la prestazione e in quanto non adempie è in ritardo». Certezza della prestazione significa che il rapporto obbligatorio non sia sottoposto a condizione sospensiva, perché altrimenti in pendenza di tale condizione, il debitore non è tenuto ad adempiere.
- Com’è noto il presupposto per la risoluzione giudiziale del contratto per inadempimento è la gravità di quest’ultimo: per stabilire se l’inadempimento è grave il giudice deve valutare il comportamento di entrambe le parti nel quadro generale dell’esecuzione del contratto e l’interesse che ha la parte all’esatto adempimento dell’obbligo contrattuale. In taluni casi, è il legislatore che stabilisce espressamente quando l’inadempimento è grave per cui il giudice dovrà limitarsi ad accertare che si sia verificata la situazione prevista dalla legge: ad esempio, l’art. 1525 c.c. nella vendita con riserva di proprietà, stabilisce che il mancato pagamento di una sola rata che non superi l’ottava parte del prezzo non dia luogo alla risoluzione del contratto; l’art. 1564 stabilisce che nel contratto di somministrazione, una parte può agire per la risoluzione, solo se l’inadempimento ha notevole importanza ed è tale da menomare la fiducia nell’esattezza dei successivi adempimenti; art. 1668, prevede che il contratto d’appalto si può risolvere per inadempimento, laddove i vizi e difformità dell’opera realizzata sino tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione; art. 1819 contempla l’ipotesi di risoluzione del contratto di mutuo, nel caso di mancato pagamento di una sola rata e il successivo art. 1820 c.c. nel caso di mancato pagamento degli interessi.
- Buona fede da intendersi, dunque, come dover di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra parte a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (Cass. 5 novembre 1999, n. 12310).
- Vigente in materia contrattuale, la distinzione tra contratti in senso stretto e contratti di buona fede, il contratto di assicurazione era ricondotto in questa seconda categoria e precisamente nei contratti uberrimae bonae fidei (Criscuolo, Mercolino, Fortunato, Perrino, Scarpa, L’assicurazione, Torino, 2001, 65 e ss.; Scalfi, I contratti di assicurazioni, Torino, 1991, 124; Gambino, L’assicurazione nella teoria del diritto privato, Milano, 1964, 379 e ss.).
Nel codice del commercio del 1882, infatti, la reticenza dell’assicurato nel fornire informazioni o la falsità di queste ultime, allorché fosse stato dimostrato che l’assicuratore se avesse conosciuto la reale situazione del rischio, non avrebbe concluso il contratto o lo avrebbe stipulato a condizioni diverse, comportava la nullità del contratto (anche se la dottrina chiarì che trattavasi di annullabilità).